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Le mutazioni genetiche. La parola all’esperto.

La Dott.ssa Daniela Turchetti risponde ad alcune delle domande più frequenti.

Che cos’è una mutazione genetica e in che modo è collegata allo sviluppo di un tumore?

Una mutazione genetica è l’alterazione di un gene. I geni sono tratti di DNA localizzati nei cromosomi, che sono ereditati dai genitori e si ritrovano identici in ogni nostra cellula. Essi rappresentano, come spesso si dice, il nostro “libretto di istruzioni”: ogni gene contiene le istruzioni per produrre una proteina; sono infatti le proteine le vere responsabili della composizione e delle attività del nostro organismo. La mutazione di un gene può essere ereditaria (il gene viene ereditato da un genitore già alterato), e in questo caso è presente in tutte le cellule che costituiscono il nostro organismo, oppure può essere acquisita: il gene, per effetto del caso o dell’esposizione ad agenti esterni, viene alterato in una singola cellula, mentre in tutte le altre cellule resta inalterato. In ogni caso, la mutazione di un gene può cambiare radicalmente l’istruzione per la produzione della relativa proteina; se si tratta di una proteina che regola la proliferazione cellulare, la sua alterazione può portare alla proliferazione incontrollata della cellula e, conseguentemente, allo sviluppo di un tumore. La stragrande maggioranza dei tumori, è la conseguenza di una mutazione acquisita, cioè presente solo nelle cellule tumorali e perciò non trasmissibile alla prole. Solo nel 5-10% delle donne che sviluppano un tumore al seno, invece, è presente una mutazione ereditaria: presente, cioè, in tutte le sue cellule e trasmissibile alla prole (ogni figlio ha una probabilità del 50% di ereditarla). Tale mutazione determina un aumento del rischio sviluppare un tumore, ma non ne dà la certezza: molte donne portatrici della mutazione vivono a lungo senza mai ammalarsi. Certo è che l’identificazione di donne a rischio aumentato offre un’opportunità senza precedenti nell’ottica di una personalizzazione della sorveglianza in funzione del rischio individuale.

Da quando esiste il test BRCA?

L’esistenza di famiglie in cui il tumore al seno tendeva a ricorrere con un andamento simile a quello delle malattie ereditarie è nota da secoli. Una dettagliata descrizione di una famiglia di questo tipo si ritrova nel trattato sui tumori pubblicato dal chirurgo francese Broca nel 1866. Ci sono voluti però molti anni e, soprattutto, molti progressi nel campo della genetica molecolare perché si definissero le cause genetiche di tali aggregazioni familiari: solo a metà degli anni ’90 dello scorso secolo, infatti, sono stati identificati i geni BRCA1 e BRCA2. Da allora è stato possibile analizzare questi geni nelle persone con tumori sospetti ereditari della mammella e dell’ovaio. Il riscontro della mutazione in una donna affetta, infatti, permette di verificare se le altre familiari l’hanno ereditata oppure no: coloro che l’hanno ereditata potranno beneficiare di specifici programmi di prevenzione, mentre coloro che non l’hanno ereditata potranno essere rassicurate che il loro rischio non differisce da quello delle altre donne. La mutazione è presente dalla nascita, ma poiché il suo effetto, cioè l’incremento del rischio di tumori, si verifica solo in età adulta, non è indicato effettuare tale test genetico prima dell’età in cui possono essere intrapresi i programmi di prevenzione (in genere 25 anni) o, comunque, prima della maggiore età.

In cosa consiste il test genetico BRCA1 e BRCA2?

Il test genetico è uno strumento che può essere utilizzato nell’ambito di un percorso multifasico di consulenza genetica per definire la causa genetica di un tumore che si sospetta essere su base ereditaria. Se il genetista oncologo valuta che il test genetico sia utile per definire il rischio nella/nel paziente che sta valutando e nelle sue familiari, propone il test informando dettagliatamente la persona sul suo significato. Se la/il paziente fornisce il proprio consenso informato all’indagine, si effettua un prelievo di sangue venoso, si estrae il DNA costituzionale e, con metodiche di biologia molecolare, si analizza la sequenza dei geni BRCA1 e BRCA2 di quella persona, che viene confrontata con la sequenza normale, evidenziando eventuali varianti. Se viene individuata una variante patogenetica, si conferma la presenza di una predisposizione ereditaria ai tumori della mammella e dell’ovaio e, conoscendo la mutazione familiare, si può offrire alle altre persone della famiglia un test specifico, mirato solo alla ricerca della mutazione già individuata. In questo modo, i membri di quella famiglia sapranno con certezza se hanno ereditato o meno l’alterazione genetica predisponente.

A che cosa serve sapere di avere una mutazione genetica?

Alle donne portatrici di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 vengono prospettate le opzioni di seguito descritte.

Per quanto riguarda la prevenzione vera e propria, ossia l’attuazione di misure finalizzate ad impedire o ridurre il rischio di sviluppare un tumore, l’unico approccio che si è dimostrato sicuramente efficace è quello della chirurgia profilattica: si calcola infatti che la mastectomia bilaterale profilattica sia in grado di ridurre del 90-100% il rischio di sviluppare una neoplasia mammaria e che l’annessiectomia profilattica sia almeno altrettanto efficace nel ridurre il rischio di tumori ovarici e che riduca anche il rischio di neoplasie mammarie, determinando, complessivamente, una riduzione della mortalità. Si tratta tuttavia di misure alquanto drastiche, con importanti implicazioni sul piano estetico, per la mastectomia, e sul piano riproduttivo e ormonale (sterilità, menopausa precoce), per l’ovariectomia. L’approccio chirurgico può quindi essere perseguito soltanto dopo accurata valutazione delle possibili conseguenze e delle opzioni alternative.

Un’alternativa teoricamente interessante, ma ancora in fase di sperimentazione, è quella della farmacoprevenzione, ossia della somministrazione di farmaci in grado di inibire lo sviluppo di una neoplasia. Purtroppo, per quanto riguarda i tumori mammari, non sono ancora stati identificati farmaci che garantiscano un adeguato rapporto costo-beneficio, anche se molti sono in corso di studio. Per quanto riguarda i tumori ovarici, invece, la pillola estro-progestinica contraccettiva si è dimostrata in grado di ridurne il rischio ma il suo impiego è controverso in quanto secondo alcuni potrebbe aumentare il rischio di tumori della mammella.

L’approccio più frequentemente adottato è quindi rappresentato da una sorveglianza clinico-strumentale intensificata, che ha l’obiettivo di diagnosticare precocemente un’eventuale neoplasia, aumentandone così le probabilità di guarigione. Per quanto riguarda la sorveglianza mammaria, gli studi effettuati negli ultimi anni su donne a rischio genetico hanno dimostrato una maggiore sensibilità della Risonanza Magnetica della Mammella rispetto ai metodi diagnostici standard (visita, mammografia, ecografia), tanto da far raccomandare l’integrazione di questa indagine in aggiunta alla sorveglianza tradizionale.

Per quanto riguarda la sorveglianza ovarica, la sorveglianza prevede l’esecuzione, possibilmente semestrale o almeno annuale, di ecografia trans-vaginale e dosaggio del Ca125 sierico. Poiché, però, queste indagini non si sono dimostrate sufficientemente sensibili da garantire una diagnosi precoce, e in considerazione della aggressività dei tumori ovarici, si raccomanda di considerare l’annessiectomia profilattica, tenendo conto della specifica fase della vita riproduttiva della donna.

Angelina Jolie ha fatto bene o male a operarsi?

La stessa scelta fatta da Angelina Jolie è stata fatta, prima e dopo, da migliaia di donne in tutto il mondo e, contrariamente a quanto è accaduto in seguito alla sua divulgazione nei media, non deve essere giudicata, né tantomeno etichettata come “giusta” o “sbagliata”. Ogni donna ha un modo di interpretare e affrontare il rischio del tutto personale, legato al carattere, alle convinzioni, al vissuto familiare, ai piani per il futuro e a tante altre variabili. Una scelta giusta per una donna è sbagliata per un’altra e viceversa. Il compito di noi medici, in questo caso, non è quello di “consigliare” una strada, ma di supportare ed accompagnare le donne verso la scelta più giusta per loro.

Che ruolo ha il test BRCA nelle donne con tumore ovarico?

Prima del 2015 le donne con tumore ovarico venivano sottoposte a test genetico BRCA solo se avevano storia familiare di tumore al seno o alle ovaie. Più recentemente, invece, si è dimostrato che anche le donne con tumore ovarico senza familiarità avevano una significativa probabilità di essere portatrici di mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 (al contrario delle donne con tumore della mammella, tra cui le portatrici di mutazione sono una percentuale molto più piccola).

Nel frattempo, inoltre, si sono resi disponibili farmaci specificamente efficaci nelle donne affette da tumore ovarico con alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, pertanto attualmente il test si esegue in tutte le donne con carcinoma ovarico, ad eccezione di alcuni tipi di tumore (es. mucinoso o borderline), che non sono associati a mutazioni BRCA. In questo caso il test oltre alle consuete finalità preventive, ha un significato predittivo di risposta a specifiche terapie.

Anche gli uomini sono a rischio di tumore al seno?

Al contrario di quello femminile, il carcinoma della mammella maschile è raro, rappresentando meno dell’1% dei tumori che insorgono negli uomini. Quando è associato a storia familiare di neoplasie mammarie, il carcinoma della mammella maschile può far sospettare la presenza di mutazioni del gene BRCA2, in quanto queste sono responsabili di un aumento del rischio di tumori al seno anche nell’uomo. Anche in assenza di storia familiare, una piccola frazione di pazienti con carcinoma mammario maschile presenta una mutazione di BRCA2, ragione per cui l’analisi di questo gene si considera appropriata anche in casi apparentemente sporadici.

A chi ci si può rivolgere per la valutazione del rischio e la sorveglianza?

Dal 2012, in Emilia-Romagna esiste un programma per l’identificazione e la sorveglianza delle donne a rischio familiare di neoplasia mammaria, sancito dalla DGR 220/2011. I medici di medicina generale e molti medici specialisti hanno a disposizione una scheda a punti che permette di valutare se la storia familiare di tumore al seno di una loro assistita è meritevole di ulteriori approfondimenti. Se è così, la donna può essere inviata ad uno dei centri regionali individuati come Spoke per una valutazione del rischio di tumore al seno. Il calcolo del punteggio viene effettuato anche per tutte le donne che effettuano la mammografia di screening: se l’accesso allo Spoke è indicato, riceveranno le relative informazioni nella lettera di risposta dello screening. Le donne che alla valutazione dello Spoke presentino un sospetto di predisposizione genetica verranno indirizzate al centro di riferimento per la consulenza genetica oncologica (Hub): gli Hub del percorso regionale si trovano a Meldola (FC), Bologna, Modena e Parma.

Questo percorso permette di attribuire alle donne un profilo di rischio da 1 (rischio assimilabile a quello della popolazione generale) a 3 (rischio aumentato). Per le donne di profilo 2 (rischio intermedio) tra i 40 e i 44 anni e per le donne di profilo 3 tra i 25 e i 70 anni è previsto un programma di sorveglianza specifico, mentre per tutte le altre donne si ritiene adeguato lo screening di popolazione.

È possibile che una donna che ha avuto casi di tumore al seno in famiglia e ritiene, quindi, di essere candidata a entrare in questo percorso rimanga delusa nel sentirsi dire che il risultato della scheda a punti non pone indicazione ad ulteriori approfondimenti. La spiegazione risiede nelle finalità del programma regionale, che si ripropone di individuare quelle donne per cui lo screening mammografico può non essere sufficiente e per cui è quindi indicata una sorveglianza più intensiva e/o anticipata. Per tutte le altre donne, con o senza familiarità, si ritiene invece adeguato il programma di screening mammografico.

Daniela Turchetti

Ricercatore in Genetica Medica presso Università di Bologna – DIMEC Responsabile dell’Incarico di Alta Specializzazione: Identificazione e gestione di individui con predisposizione ereditaria ai tumori presso AOU di Bologna Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, U.O. Genetica Medica – Seri

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